sabato 20 agosto 2011

Parliamo della paura (parte I)

Parliamo, voi e io. Parliamo della paura.
[...] Non alzeremo la voce e non ci metteremo a urlare. Parleremo razionalmente. Voi e io. Parleremo del modo in cui il solido tessuto delle cose si disfa, a volte, con una subitaneità che ci lascia scossi. La sera, quando mi corico, sento ancora il bisogno di assicurarmi che le mie gambe siano sotto le coperte, una volta spenta la luce. Non sono più un bambino ma... non mi va di dormire con una gamba che sporge dal letto. Perchè se una mano gelida si protendesse per caso da sotto il letto ad afferrarmi la caviglia potrei anche urlare. Sì, potrei cacciare un urlo da svegliare i morti. Sono cose che non succedono naturalmente, e lo sappiamo tutti.
[...]A volte, quando parlo a gruppi di persone che sono interessate allo scrivere o alla letteratura, prima che lo scambio di domande e risposte sia terminato, c'è sempre chi fa questa domanda: perchè ha scelto di scrivere su argomenti così macabri? Di solito, rispondo con un'altra domanda: pensa forse che io abbia una possibilità di scelta?
[...] Una volta esaurito il problema del perchè scrivi questa roba, sorge la domanda successiva: perchè la gente legge roba simile?
[...] Penso che la spiegazione di questo fenomeno si trovi in un paio di righe di una critica cinematografica apparsa su una rivista. Era la recensione di un film dell'orrore piuttosto scadente , e diceva più o meno così: "...un film meraviglioso per la gente alla quale piace rallentare e guardare gli incidenti d'auto".
È una buona battuta, molto secca; ma, se ci si riflette per un momento, vale per tutti i film e i racconti dell'orrore. The night of living dead, con le sue macabre scene di cannibalismo e di matricidio, era certamente un film che piaceva a chi rallenta e guarda gli incidenti di macchina.
[...] La grande letteratura del soprannaturale contiene spesso la stessa sindrome del "rallentiamo e guardiamo l'incidente".
[...] La verità (e la maggior parte di noi lo sa, in cuor suo) è che sono pochissimi quelli che possono astenersi dallo sbirciare, con un senso di disagio, i rottami illuminati dai riflettori e attorniati dalle macchine della polizia che appaiono all'improvviso sull'autostrada, dal buio.

[...] La paura è lo stato d'animo che ci acceca. Di quante cose abbiamo paura? Abbiamo paura di spegnere la luce con le mani bagnate. Abbiamo paura di ficcare un coltello nel tostapane per tirare fuori la fetta che è rimasta incastrata senza prima togliere la spina. Abbiamo paura di quello che può dirci il medico quando la visita è finita; o quando l'aereo precipita improvvisamente in un vuoto d'aria.

[...] La paura ci rende ciechi e noi tocchiamo ciascuna paura con l'avida curiosità dell'interesse personale, cercando di ricavare un intero da cento parti. Captiamo la forma. La forma è là, e tutti prima o poi arriviamo a comprendere che cosa è: è la forma di un cadavere sotto a un lenzuolo. Tutte le nostre paure assomigliano a una sola grande paura, fanno tutte parte di quell'unica paura. Abbiamo paura del cadavere sotto al lenzuolo. È il nostro cadavere. E il grande significato della narrativa dell'orrore, in tutte le epoche, è che essa serve da prova generale per la nostra morte.
Stephen King,
27 febbraio 1977
brano tratto dalla prefazione alla raccolta di racconti sotto il titolo italiano "A volte ritornano"

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