domenica 13 ottobre 2013

Le 5 chiavi del terrore e il suo "remake"

Qualche volta i remake di vecchi film riescono davvero bene, qualche volta sono addirittura necessari se la pellicola è molto rovinata e da restaurare, qualche volta ci colpiscono positivamente aggiungendo alla storia un pizzico di sale senza guastarne però il gusto. Purtroppo però ci sono volte i cui i remake sono totalmente inutili, poveri, recitati male, deludenti e non aggiungono assolutamente nulla al vecchio film, anzi lo peggiorano. Credo sia il caso de "I tre volti del terrore", film italiano del 2004 di Sergio Stivaletti. Pur non volendo essere letteralmente un remake della storia "Le cinque chiavi del terrore" ci si ispira palesemente. Ambientate entrambe in un treno raccontano l'incontro di 3 / 5 viaggiatori con un misterioso uomo anziano che si dice capace di predire loro il futuro e di leggere nelle loro vite.
Incuriositi o scettici i passeggeri si lasciano convincere a dare uno sguardo alle loro storie intrecciando così nella trama principale piccoli racconti di "terrore" che sarebbero accaduti ad ognuno di loro. 
Nel film italiano le tre storie si concludono con la morte dei protagonisti, mentre nel film inglese la morte sembra essere l'alternativa alle disavventure che capiteranno ai 5 passeggeri. 

Le mini trame spaziano tra temi classici dell'horror; dai lupi mannari ai vampiri, da piante carnivore a maniaci omicidi vestiti da medici, da mostri marini a riti Vodoo
Guardando "Le cinque chiavi del terrore" di Freddie Francis del 1965, si resta colpiti dallo stile narrativo, dall'interpretazione dei personaggi, dalle storie misteriose che si intrecciano tra di loro per finire in un colpo di scena che per l'epoca non era poco. 

Ma dal 2004 ci si aspettava qualcosa di più quanto meno negli effetti speciali. Citare un film, che nel 1965 deve essere stato originale, sorprendente e abbastanza terrificante, dovrebbe portare con sè il progresso della tecnologia cinematografica e della fotografia; invece il lupo mannaro o il mostro marino sembrano pupazzi di gomma usciti esattamente dagli anni '60, la suspance è completamente assente e la recitazione lascia per lo più un senso di insoddisfazione. 
Unico piccolo apporto innovativo è il finale al di là del finale: l'immagine inquietante di un bambino seduto ad un banco, sospeso nell'universo al di sopra della Terra, intento a disegnare le sorti dell'umanità. 

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